Alla fine del ’700, con l’aumento della popolazione, diventa necessario produrre più cibo. I proprietari terrieri inglesi si impossessano dei campi “comuni”, e li trasformano in campi “chiusi” (recintati), che coltivano con sistemi più efficienti. Nasce la grande azienda agraria, gestita dal proprietario. Molti contadini cercano lavoro nelle città.
Uno dei primi settori meccanizzati è quello tessile, che dà a sua volta una spinta all’industria siderurgica per produrre i materiali che servono alle nuove macchine.
La Rivoluzione industriale è nata in Inghilterra, perché è il Paese più ricco di capitali, di materie prime e di fonti di energia, il più potente e quello più pronto all’innovazione. Inoltre le sue colonie formano un enorme mercato e forniscono molte materie prime.
James Watt, nel 1765, inventa la macchina a vapore, che rivoluziona i trasporti e viene utilizzata nei campi agricoli e manifatturieri. Nasce la chimica moderna. Benjamin Franklin conduce studi sull’elettricità. Si diffonde l’illuminazione a gas.
Nascono le fabbriche vicino ai fiumi, alle miniere o alla periferia delle grandi città. Sorgono quartieri-ghetto vicino alle fabbriche (slums), abitati dagli operai.
Nascono due nuove classi sociali, la borghesia imprenditoriale e il proletariato industriale. Poiché ci sono molte persone disposte a lavorare, i salari sono bassissimi. Si diffonde la produzione in serie: l’operaio deve seguire i ritmi delle macchine. Si diffonde una nuova teoria economica, il liberismo, che sostiene la legge della domanda e dell’offerta.
Nascono le prime proteste dei lavoratori contro la meccanizzazione, che prendono il nome di “luddismo” da un certo Ned Ludd, che distrugge due telai per protesta.
L’industrializzazione da un lato crea un atteggiamento positivo e di ottimismo verso il futuro, dall’altro genera il problema dell’inquinamento, mentre nascono forti ingiustizie sociali: la ricchezza è infatti concentrata nelle mani di pochi.