La crisi della Repubblica

Nel II secolo a.C. a Roma si verificò una profonda crisi dovuta all’incapacità della classe dirigente di affrontare e risolvere due gravi problemi: la riforma agraria e la riforma dell’amministrazione dello Stato. Grazie alle conquiste, Roma divenne sempre più ricca e il territorio dello Stato, l’ager publicus, si ampliò notevolmente, migliorando di molto la situazione economica, ma questo non portò vantaggio ai piccoli proprietari, penalizzati da lunghi anni di guerra. Nelle campagne scomparve la piccola proprietà privata a favore dei latifondi. A Roma si affermò la classe dei cavalieri, nelle cui mani si concentravano le attività economiche, sebbene fosse esclusa dal Senato e dalla politica. Si determinò, quindi, una frattura tra la classe senatoria, che gestiva il potere politico, e il ceto equestre, che deteneva il potere economico.

Per scongiurare il rischio di uno scontro sociale tra nobili, cavalieri e contadini, rimasti senza proprietà, intervenne il tribuno della plebe Tiberio Gracco. Questi propose una legge secondo la quale nessuno poteva possedere più di 500 iugeri di ager pubblicus. Le terre recuperate dovevano essere distribuite ai contadini poveri e quelle in possesso abusivo dei latifondisti date ai contadini nullatenenti.
La riforma agraria di Tiberio fu portata avanti da Gaio Gracco che, eletto tribuno nel 123 a.C., fece approvare due leggi: la distribuzione gratuita di grano ai cittadini poveri; la nomina di giudice dei cavalieri contro i governatori sospettati di corruzione. Gaio Gracco incontrò l’opposizione dei cittadini romani, perché tentò di estendere la cittadinanza romana ai popoli alleati di Roma.

La classe dirigente, a causa delle forti tensioni sociali, si divise in due fazioni : quella degli ottimati, conservatori che avevano come punto di riferimento il Senato, e quella dei popolari, che appartenevano al ceto dei cavalieri. I popolari fecero eleggere al consolato Gaio Mario, a cui si deve la riforma dell’esercito .
I popoli italici, esclusi dalla vita politica e dalla distribuzione delle terre, incominciarono a ribellarsi e Roma fu costretta a concedere la cittadinanza ai socii. Questo periodo si caratterizzò anche per l’opposizione fra Mario e Silla: la guerra civile che ne derivò durò sei anni e si concluse con la vittoria di Silla. Questi, dopo aver eliminato gli oppositori con le liste di proscrizione e varato una serie di leggi che ripristinarono la supremazia degli ottimati sui popolari, privò i tribuni della plebe del diritto di veto, escluse i cavalieri dal potere giudiziario, privò i consoli del potere militare e ne regolamentò la carriera politica, il cursus honorum.

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